Festival della fotografia Etica

Questo festival nasce con l’obiettivo di promuovere la fotografia come strumento di coscienza civile e responsabilità collettiva.

Con gli anni è diventato uno degli eventi internazionali più importanti dedicati al fotogiornalismo impegnato, accogliendo sia grandi maestri che giovani talenti provenienti da ogni parte del mondo.

Le mostre si distribuiscono in luoghi storici di Lodi e passando per spazi urbani e installazioni all’aperto, in un dialogo continuo tra immagine, storia e società contemporanea.

“Jugoslavia: Atto finale – A trent’anni dal genocidio di Srebrenica”

Questa mostra ricorda il trentesimo anniversario del genocidio di Srebrenica e la fine della guerra in Bosnia-Erzegovina, mantenendo viva la memoria dei terribili crimini avvenuti nel cuore dell’Europa.

Attraverso le fotografie dei più noti fotogiornalisti, l’esposizione colloca la vicenda bosniaca nel contesto più ampio dei conflitti che hanno devastato l’ex Jugoslavia (dalla Croazia al Kosovo) raccontando la

divisione della nazione e la risposta, spesso lenta, della comunità internazionale.

La mostra evidenzia l’importanza del fotogiornalismo come mezzo per conservare la memoria, cercare giustizia e fare in modo che queste storie non vengano dimenticate.

“Carro armato abbandonato, Bosnia 1995” – Ron Haviv


Questa foto rappresenta un carro armato che giace inclinato nel fosso, lungo una strada dissestata.

Il paesaggio è spoglio e Il bianco e nero accentua il contrasto tra il metallo del veicolo e la terra, tra ciò che appartiene alla guerra e ciò che rimane dopo.

Davanti a questa foto ho provato una sensazione di vuoto che mi ha fatto pensare a quanto la guerra, alla fine, lasci dietro di sé soltanto oggetti spenti e silenzi pesanti.

In quel carro armato abbandonato vedo la fine della guerra e il segno di quanto la violenza non porta mai a risultati positivi.

“Il lato oscuro della fast fashion”

Le fotografie sono state realizzate dal fotografo svedese Magnus Wennman, la mostra indaga sull’impatto ambientale, sociale ed economico del sistema della moda veloce, cioè capi prodotti e consumati rapidamente, spesso con costi nascosti.

Le fotografie portano lo spettatore nei luoghi dove finiscono gli scarti di questa “moda usa e getta”: discariche in paesi lontani, mercati pieni di vestiti usati e filiere di produzione poco conosciute.

Non si tratta solo di denunciare, ma di farci riflettere sul nostro ruolo come consumatori e sul percorso che ogni capo compie prima di arrivare nelle nostre mani.

“spiaggia ad Accra-capitale del Ghana”

La foto mostra un paesaggio completamente sommerso da una gigantesca montagna di abiti scartati, così vasta da sembrare una formazione naturale.

L’orizzonte è appena visibile, anch’esso soffocato dall’immondizia: non c’è spazio per la natura, solo scarti ovunque.

Questa fotografia mi colpisce più di tutte perché non documenta soltanto un disastro ambientale, ma anche un disastro umano.

I vestiti diventano una massa opprimente che sovrasta le persone che vivono vicino a queste discariche.

il protagonista è il rifiuto, che ribalta il nostro modo di vedere la moda. La foto suscita tristezza perché mostra comunità costrette a convivere con ciò che il mondo ricco scarta.

Guardando la foto ho provato tristezza nel vedere come intere comunità siano costrette a convivere con ciò che il resto del mondo getta via. È una fotografia che non vuole essere bella: vuole essere vera e lo è in modo profondamente doloroso.

Cristina Núñez

Cristina Nuñez è un’artista e fotografa spagnola nata nel 1962.

Dopo un’adolescenza segnata da dipendenze e difficoltà personali, ha iniziato a usare l’autoritratto come forma di auto-terapia e indagine interiore.

Dal 2005 porta avanti il progetto The Self-Portrait Experience (SPEX), con cui aiuta persone emarginate o in difficoltà a esplorare le proprie emozioni attraverso la fotografia.

Le sue opere, spesso autobiografiche, affrontano temi come l’identità, il dolore, il desiderio di amore e la trasformazione personale.

Ha prodotto libri fotografici in cui affrontava questioni sociali attraverso il ritratto, e ha creato delle raccolte come: “Someone to Love” che dal 2005 è diventato il fulcro del suo lavoro, così come dei workshop che conduce in tutto il mondo, dove racconta la sua storia e la sua carriera anche nelle scuole universitarie.

Lei si considera un’attivista sociale, che usa la propria vita per stimolare lo spettatore a rispecchiarsi nel suo lavoro.

Vivian Maier

Vivian Maier è stata una fotografa americana nata nel 1926 e vissuta per lo più nell’anonimato.

Lavorò come bambinaia per tutta la vita, ma nel tempo libero scattava migliaia di fotografie, soprattutto di strada, cogliendo momenti di vita quotidiana con uno sguardo unico e spesso ironico.

La sua opera fu scoperta solo dopo la sua morte nel 2009, quando un collezionista acquistò per caso alcuni dei suoi negativi in un’asta, rivelando un vasto archivio di oltre centocinquantamila immagini.

Oggi è considerata una delle più grandi fotografe di street photography del Novecento, protagonista di mostre internazionali, documentari e studi critici, nonostante in vita non abbia mai cercato né fama né riconoscimento.

La sua capacità di catturare l’anima delle persone comuni e i dettagli nascosti della vita urbana continua a ispirare fotografi e appassionati in tutto il mondo.

Moira Ricci

Moira Ricci è un’artista italiana nata nel 1977 in Toscana.

La sua arte usa fotografia, video e installazione per esplorare temi come la memoria, le radici familiari, l’identità personale e il rapporto con il territorio in cui è cresciuta.

Uno dei suoi progetti più noti è “20.12.53‑10.08.04”, in cui, dopo la morte della madre, inserisce digitalmente il proprio autoritratto in fotografie di famiglia con lo scopo di recuperare il tempo perduto e rielaborare il lutto.

Un altro lavoro importante è “Da buio a buio” (2009‑2015), che intreccia miti, leggende rurali e figure immaginarie con immagini e suoni, per dare corpo a tradizioni e immaginari popolari che abitano la sua terra d’origine.